Abito a Torino da ormai qualche anno, ma ogni giorno cerco ancora di capirla, smontando gli stereotipi del colosso postindustriale «falso e cortese», serrato nel suo grigiore silenzioso.
Ho deciso di osservare la città dell’automobile girandola a piedi e con i mezzi pubblici. L’intenzione iniziale era di usare anche in bicicletta, per aggiungere un’ulteriore velocità intermedia. Mi sono accontentata dei piedi e sono felice così.
I quartieri centrali della città hanno sì una severa pianta ortogonale, talmente rigorosa che è impossibile perdersi, rendendola semplice anche per chi è dotato di senso all’orientamento tendente al nullo, ma la città dalle lunghissime strade dritte, lungo cui lo sguardo scivola indisturbato fino a dove l’occhio umano lo permette, inizia a cambiare appena si apre con tutto il peso del proprio corpo la lucida mole di un portone.
Man mano che si salgono i gradini, aiutandosi con il corrimano profumato di cera, o seduti composti sull’impeccabile velluto d’altri tempi nello sferragliare di un ascensore d’epoca, si ascende a un altro mondo.
Se invitati in un appartamento all’ultimo piano, basterà affacciarsi alla finestra più vicina per guardare qualcosa di apparentemente incompatibile in rapporto al rigore sottostante. La distesa dei tetti è una folla di coppi in laterizio, comignoli, abbaini costruiti in modi e materiali disparati, non senza una certa inventiva. Selve di antenne - alte, basse, medie, minuscole -, terrazze dal dubbio accatastamento, vere e proprie foreste in miniatura, ballatoi colorati di panni stesi e le onnipresenti tende verdi. Cavi elettrici che sbucano e scompaiono in ogni dove, gabbiotti in legno che vincono ogni legge della fisica. Per non parlare delle persone che dentro gli abbaini vivono, cantano e parlano da sole.
Ecco i tetti di Torino, senza linee rette né angoli. Un luogo dove è facile perdersi con lo sguardo in quella città che così dimostra di essere molto più di quello che ci hanno sempre fatto credere.
(questo brano è un riadattamento di un pezzo uscito per il quotidiano La Stampa nell’ottobre del 2017)
Chi è Petunia Ollister
Petunia Ollister è il nom de plume di Stefania Soma. Dal 2015 crea i #bookbreakfast, foto di libri sul tavolo della colazione, pubblicate sul suo profilo Instagram @petuniaollister. Quando non legge o scatta foto, si occupa di valorizzazione dei beni culturali e comunicazione.
Per Slow Food Editore ha pubblicato Colazioni d’autore (2017) e Cocktail d’autore (2019). Abita a Torino, ha raccontato libri su Radio2, scritto per La Stampa e pubblicato foto su Robinson di Repubblica.